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Il glifosato: il diserbante totale

Un erbicida usato ovunque

Il glifosato è una sostanza chimica tra le più usate in agricoltura, contenuta in prodotti fitosanitari che combattono erbe infestanti. Un’erbicida utilizzato nella gestione dei parchi pubblici, per diserbare tratti interi di strade e ferrovie. Per liberare gli orti da piante considerate di troppo. Immesso nel mercato negli anni Settanta, e quindi messo in commercio da multinazionali del settore, il suo impiego è cresciuto per la crescente diffusione di colture OGM. Lo scorso novembre, la Commissione Europea ha rinnovato l’autorizzazione all’utilizzo del glifosato per altri dieci anni. Possibile perché non è stata raggiunta la maggioranza richiesta per un rifiuto all’approvazione. Ad ogni modo, anche sulla base delle indicazioni fornite da EFSA e dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche, l’impiego dell’erbicida sarà soggetto a nuove regole. Incluso “il divieto dell’uso preraccolta come essiccante e la necessità di determinate misure per proteggere gli organismi non bersaglio”

Il glifosato: l’azione chelante

Il glifosato si diffonde nell’arco di poche ore. Non agisce direttamente su una parte o l’altra, bensì in tutta la pianta. Ecco perché è ritenuto un diserbante totale ad azione chelante, che sottrae micronutrienti fondamentali per lo sviluppo del fogliame. Il disseccamento si registra in poco meno di due settimane nell’acqua. Oggi il glifosato è l’erbicida più diffuso al mondo, per via della sua efficacia e della ridotta tossicità in confronto ad altri prodotti – dalle caratteristiche e funzioni analoghe – commercializzati tra gli anni Settanta e ottanta. Altre ragioni che ne hanno favorito la diffusione sono

  • La scarsa penetrazione nel suolo. Il glifosato rimane infatti al livello superficiale
  • I batteri del suolo degradano e distruggono l’erbicida abbastanza facilmente
  • La resistenza degli organismi OGM, che ne impediscono la penetrazione e ne inibiscono l’azione
  • La possibilità per altre aziende di produrlo in seguito a scadenza di brevetto di proprietà Monsanto, scaduto nel 2001

Glifosato, cancerogeno o no?

Da anni il glifosato genera opinioni contrastanti in ambito internazionale, tanto da essere causa e oggetto di azioni giudiziarie. Nonché inchieste dai risultati spesso dibattuti, tali da provocare reazioni contrastanti sia in ambito tecnico, sia in termini di affidabilità riguardo al metodo d’indagine. La comunità scientifica internazionale è ancora molto prudente a riguardo. Fino al 2015, anno in cui la IARC – Agenzia per la ricerca sul cancro – ha portato a termine anni di studi e analisi sulla pericolosità per la salute delle specie umane e animali. Il pool di esperti ha quindi deciso di catalogare il glifosato nella categoria di sostanze cancerogene probabili. Dunque, incluse nella categoria 2A insieme ad altri agenti – come DDT, carni rosse, emissioni dovute a biomasse –ritenuti solo potenzialmente cancerogeni per l’uomo. I testi hanno comunque evidenziato un grado di pericolosità più rilevante per gli animali esposti.

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Meglio essere prudenti

Un anno dopo il parere espresso da IARC – autorità di peso come EFSA hanno ritenuto esprimersi a riguardo. La valutazione di carattere tecnico scientifico tende a escludere il rischio di cancro, ritenendolo improbabile. Questa conclusione però non preclude un atteggiamento cauto che auspica un livello di guardia alto, disponendo un monitoraggio più severo sugli alimenti che contengono glifosato. Anche alla luce delle conclusioni rese pubbliche da ECHA – l’agenzia europea per le sostanze chimiche – secondo cui il glifosato comporterebbe lesioni oculari e gravi danni agli organismi acquatici. Nel 2017, in base ai dati in loro possesso, i membri del comitato dell’agenzia europea con sede ad Helsinki, non si è pronunciata a favore di una classificazione dell’erbicida come cancerogeno o “tossico per la riproduzione”. La continua revisione dei valori di concentrazione ha generato controversie difficilmente risolvibili nel breve medio termine. Tanto da spingere alcuni paesi a adottare misure particolari rispetto allo scenario internazionale.

Le disposizioni in Italia

Considerando i giudizi incerti e nell’ottica di promuovere buone norme per la salute pubblica – che implica in primis la tutela dei soggetti più vulnerabili – il governo olandese nel 2014 ha varato un piano per contenere l’impiego di prodotti con tracce o presenza di glifosato. Ciò implica anche il divieto di vendita a privati finalizzato a uso casalingo. Un anno dopo, il ministro francese dell’ecologia Ségolène Royal si è appellata ai commercianti e addetti di vivai affinché non esponessero prodotti contenenti glifosato. Nel 2016 il Ministero della Salute del nostro paese si è finalmente espresso in modo più chiaro, disponendo che il diserbante non venga utilizzato in aree pubbliche come

  • Parco giochi o aree adibite a svago e attività ricreative
  • Zone attrezzate per ospitare gruppi sensibili come i bambini, estendendo dunque il divieto alle aree interne a edifici scolastici

Misure che testimoniano la volontà di portare avanti indagini scrupolose e soprattutto oggettive.

La ricerca per arrivare alla verità

Il glifosato non sembra voler mettere d’accordo tutti. Malgrado non sia stato messo al bando, resta un diserbante controverso. Un caso particolare, per la sospetta azione cancerogena e i possibili effetti dannosi sulla salute dell’uomo. Spetta alle istituzioni investire risorse adeguate per approntare un piano di prevenzione che possa – almeno per il momento – tenere alta la vigilanza sui possibili effetti nocivi dell’erbicida. Le stesse istituzioni devono indubbiamente tutelare gli interessi di tutti – vedasi gli agricoltori – e farli conciliare con gli interessi della collettività in senso trasversale.  Investire sulla ricerca equivale dunque a una ricerca della verità, del dato oggettivo. Elementi che sostengono il principio secondo cui la prevenzione da un lato è un’arma formidabile, dall’altro resta preferibile alla cura.

 

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